giovedì 4 marzo 2010

Donne al lavoro o lavoro da donne?

Da una recente elaborazione di dati dell’Istat e dell’Isfol da parte della società Manageritalia emerge con chiarezza una fotografia infelice della situazione generale della donna rispetto al mondo del lavoro.

I dati di questa ricerca sono eloquenti:
l’occupazione femminile tra i 15 e i 64 anni in Italia è di 12 punti inferiore a quella europea ( il 46% contro il 58% nel terzo trimestre 2009).

-Le donne senza figli sono presenti nel mondo del lavoro per il 65% ( contro il 76% della media europea)
-Le donne con un figlio sono presenti al 60%

-Le donne con due figli sono presenti al 54%

-Le donne con tre o più figli sono presenti al 42%

E’ evidente quindi che il tasso di occupazione delle donne cala drasticamente con l’aumentare della prole e diventa sempre più complicato il mantenimento del posto di lavoro con il crescere dell’età dei figli.
Se prima della nascita dei figli lavorano dunque circa due donne su tre, dopo la maternità l’abbandono del posto di lavoro è pari a circa il 27% delle donne occupate.
Le donne lasciano il posto di lavoro perché costrette a anteporre il loro ruolo di madre a quello professionale in una generale carenza di servizi e strutture per l’infanzia o perché tornate al lavoro subiscono un progressivo logoramento o un vero e proprio mobbing che le induce a lasciare. Sono vari infatti i mezzi per convincere una persona ad abbandonare il proprio posto di lavoro: la deresponsabilizzazione rispetto a compiti in precedenza assegnati, l’isolamento tacito da un gruppo, l’ostilità programmata e la squalifica generale, la dissuasione esplicita ad intraprendere nuovi progetti ecc…
Alle difficoltà soggettive e interne al proprio ambito professionale si associano inevitabilmente le difficoltà oggettive e sociali nel trovare un aiuto concreto nell’allevare i propri figli pur continuando a lavorare.
La carenza di asili nido nel nostro Paese è risaputa; esistono, è vero, delle strutture private spesso senza aiuti delle amministrazioni comunali che risultano però essere estremamente onerose per le famiglie.
In ambito politico e amministrativo regionale deve crescere la convinzione che aiutare le donne e le famiglie nella gestione dei propri figli non è solo un dovere morale e sociale ma un investimento che può generare un volano economico di sicuro ritorno nel sistema produttivo reale.
Nella situazione economica in cui versa il nostro Paese non c’è da stupirsi che molte coppie di fronte all’alternativa tra un secondo stipendio e la nascita di un figlio scelgano amaramente la prima ipotesi.
Chissà con che gioia nel cuore….!



Nessun commento:

Posta un commento